Saturday, November 18, 2006

AND YOU WILL KNOW US BY THE TRAIL OF DEAD
So Divided

Interscope
Da sempre rinomati, fra quelli che amano le statistiche, come la band dal nome più lungo (e spesso amputati in un macabrissimo “Trail of Dead”) questi sei texani sono qualcosa di speciale. Un manipolo di music-addicted inclassificabile, circolare, in movimento perenne. Conosciuti per le loro performance live che terminano nel più Puro Delirio, hanno all’attivo quattro album dalle copertine improbabili, una verve post-punk fra le migliori sentite attorno al 2000 e una gran voglia di cavalcare (musicalmente parlando) cavalli ritagliati da famose riviste di settore in sanscrito. Roba medievale, simboli, rimandi pseudo-biblici si accavallano (perdonate il gioco di parole), questa volta con meno epicità e più pop. In un disco stratificato, solo apparentemente semplice. Ospitano la divina Amanda Palmer dei Dresden Dolls, coverizzano i Guided By Voices di "Gold Heart Mountain Top Queen Directory", si inventano dei Black Heart Procession sotto acido in “Wasted State Of Mind” e plagiano clamorosamente i Beatles in “Eight Day Hell”. Apre tutto un funerale. La pop music è morta. Viva la pop music.
(Zero)

JOANNA NEWSOM
Ys

Drag City
Non c’è bisogno che amiate il folk di quelli con la chitarrina acustica. Con Joanna Newsom è diverso. E’ la donna dell’uccello dal sangue rosso, Smog, e sta scrivendo assieme a Bjork il suo nuovo album. Di Bjork, intendo. Tanto per capire di chi parliamo. E’ magia, qui. Abbandonate la città ed entrate in una foresta dove la luce taglia di traverso i pini e una meteora splende nel cielo. E’ da lì che parte la luce. E’ li che si accendono le mani di Joanna mentre le muove tremula sull’arpa. Accompagnata da Steve Albini dietro il banco dello studio, registra condotta in cabina di regia da Van Dyke Parks (che, fra le altre cose, all’allucinato Brian Wilson dei Beach Boys scrisse i testi di “Smile”). Mixa tutto Jim O’ Rourke. Il risultato è un viaggio nella mano di una ragazza la cui voce disturbata disegna mondi simbolici. E ti ci porta con gentilezza. In cinque tappe che non durano mai meno di sette minuti. Che a volte ti lasciano un po’ disorientato, stanco. Perchè facili sono i dischi con i piedi per terra, non quelli le cui basi stanno nel sogno. Può essere onirico, un album così. O, come in questo caso, semplicemente bellissimo.
(Zero)

JUNIOR BOYS
So This Is A Goodbye

Domino
Un’altra perla made in Canada. Più che un disco, un’Idea di musica. Cioè l’esempio più riuscito ed intelligente di cosa davvero deve rimanere degli anni ottanta. Non i lustrini, le paillettes, i mullet. Ma certi suoni dei Pet Shop Boys. Certi glitch. Certe ritmiche spezzate. Certe dark atmosfere. Certo mood, maledettamente latente, mostruosamente contemporaneo. Gli anni ottanta, in quel senso, ce li abbiamo dentro. E “So This Is A Goodbye” - nuova opera targata Junior Boys, a due anni dal precedente e riuscito “The Last Exit” - è un capolavoro di genere. Un disco dance poetico. Gonfio di atmosfere gravide di nostalgia. Nel quale l’assenza e la lontananza vengono performate in incursioni minimal su cui una voce color ombra si stende magnifica. Entrate nella loro dimensione spazio-tempo, passeggiate acceccati dalle luci dello strobo. Non dico che dobbiate piangere, ma penso che la commozione sia qualcosa di fisico tanto quanto il ballo. “So this is goodbye, no need to lie/ This creature of pain, has found me again/ So this is goodbye”. Repeat.
(Zero)

AMANDINE
Live set @ Circolo Magnolia - Milano

Milano a volte è lontana da quello che succede nelle altre metropoli d’Europa. Inspiegabilmente fuori dal mondo. Quel mondo i cui primi anni 2000 vede consegnare alle band svedesi lo scettro dei più capaci a scrivere indie-pop. Adolescenziale, trasognato, quello che volete. Noi lo amiamo. Ora, finalmente, il Magnolia ce ne regala un (soffice) esempio. Sono i bravi Amandine. Da Malmoe, manco a dirlo. Biondi o mori non importa, ma vestiti spesso a righe. Il loro punto dove i cuori si scontrano esce per la britannica FatCat, sempre brava a scovare il talento. Portano le loro melodie stracciacuori. Le ragazze innamorate sotto il palco; noi dietro.
(Zero)

I LOVE YOU BUT I’VE CHOSEN DARKNESS
Live set @ Roma

Uno vive in America. Ascolta Bahaus, Cure, Joy Division. Vuole suonare. Decide di chiamare il proprio gruppo I Love You But I’ve Chosen Darkness. Fa un disco. Lo intitola “Fear Is On Our Side”. Lo annega nel fiume nero della depressione. Ci si tuffa a sua volta e riemerge. Torna sulla terra vestito di nero. Si aggira per la gente. Gli stringono le mani. Gli dicono bravo. Lo aspettano dall’altra parte del globo perchè vogliono sentire le sue canzoni. Arriva in Italia. Lo portano a Roma e lui la guarda. Pensa a quanto sia bella. Non conosce i romani. Non li conoscerà perchè sarà ubriaco. Poi sale sul palco e suonano. Il resto raccontacelo tu.
(Zero)

PIPETTES + MOTORAMA + FELT UPS
Live set @ Circolo degli Artisti - Roma

Non ve la voglio vendere come una notte dove l’orgoglio femminile in musica si può autoaffermare. Vietato trasformare cose serie in cazzate, giusto perchè è più facile raccontarle (venderle) così. Però c’è un fatto. Sono tutte donne. Tutte. Come se per una volta in cui vediamo salire sul palco una ragazza semplicemente brava, subito ne facciamo la serata dell’orgoglio rosa. Faciloneria degli organizzatori? Probabilmente saranno maschi... Tant’è. Apre l’orgoglio punk romano delle Felt Ups, cinque tipine stile suicide girl, Myspace generation. Subito a ruota le icone rock’n’rolla del lo-fi in Italia. Rispetto incondizionato per le Motorama, che sono in due (1 chitarra e 1 batteria, e no, non copiano i White Stripes) e gridano come pazze. Poi, loro. We are the Pipettes and we’ve got no regrets. A pois come nel video del loro singolone “Pull Shapes”. Phil Spector il suono, gli anni ’50 il crocevia del (loro) stile. Che l’arte moderna passi necessariamente per il revival, lo sappiamo. Perciò scaricatevi il loro disco indiepop perdutamente retrò (dove, va detto, cantano e basta) e preparatevi il balletto. Clap your hands if you want some more!
(Zero)

ISOBEL
Fioca? [Smartz/Fooltribe]

(Rockit)

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SILENCE IS SEXY
EP [Autoproduzione]

(Rockit)

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FRANKLIN DELANO
Come Home [Ghost Records]

(Rockit)

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HOGWASH
Half Unthruts [Urtovox]

(Rockit)

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CARPACHO!
La Fuga Dei Cervelli [Autoproduzione, per ora]

(Rockit)

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TEN THOUSAND BEES
Polar Days [Knifeville]

(Rockit)

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OMAR PEDRINI
Pane Burro e Medicine (e quasi una querela)

(Rockit)

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BETTY FORD CENTER
Enjoy The Rehab [Autoproduzione]

(Rockit)

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AAVV
Songs For Another Place Vol. 1 [Urtovox/Awful Bliss]

(Rockit)

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HOT GOSSIP
"Angles" [Ghost Records]

(Rockit)

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SHOUT OUT LOUDS
Live set @ Transilvania Club - Milano

Riuscire a stupirsi ed emozionarsi ancora nella selva odierna di stimoli e flash artistici è decisamente stupefacente. Succede raramente, come rari, in realtà, sono i dischi veramente emozionanti. E allora benvenuti agli Shout Out Louds. Cinque svedesi, ma guarda un po’, con la giusta dose d’ironia e la giusta dose di talento. Hanno appena pubblicato un album dal titolo buffo: "Howl Howl Gaff Gaff", e un singolo stupendo che riporta diretti agli Smiths: “Please Please Please”. Ovviamente, Morrisey ha colpa, ma in realtà i biondi sembrano un po’ i Cure, per quel modo indolente di cantare, e un po’ i Kings Of Convenience, per il loro modo struggente di suonare. Pur essendo diversi da entrambi, sia chiaro. Perchè con le loro canzoni si pongono ad un livello più leggero, come quell’amico che ti racconta i suoi scazzi amorosi sdraiati su un prato, d’estate, dopo aver fumato una bella bomba. Divertenti e trascinanti. Fottutamente pop. Ariosi e indolenti. Bravi. E chissà che effetto faranno, per la prima volta in Italia, nel tempio del metal e dei gufi e delle bare. Andiamo a vedere com’è.

MOGWAI
live set @ Rolling Stone - Milano

E’ difficile trovare parole per descrivere e raccontarvi un live in cui le parole sono sempre e comunque laterali rispetto ad un discorso fatto di pulsazioni emotive e dinamiche che qualcuno definisce del cuore, e che io invece definisco del corpo al 100%. I Mogwai sono l’apoteosi di un linguaggio musicale che ha (tras)portato la chitarra e i suoi riff a raccontare rivolte dello stomaco e crepuscoli dolcissimi. Le frasi non dicono, ma rivelano, quasi simbolicamente. Post-rock di arpeggi che ti arpionano e ti sbattono dentro un turbine che si arrota e poi si scioglie, attenzione massima e coinvolgimento completo, estasi e delirio. Tutto in un loro live schiocca come lo schiaffo e accarezza come un bacio. Senza però arrogarsi il dovere di fare poesia. Perchè se li vedi, questi cinque fieri scozzesi, localist e beer-addicted, non pensi allo spleen, eppure sono i più romantici guitar-hero dell’età moderna. Presentano “Mr. Beast”, il loro ultimo disco che conferma e rassicura e prosegue l’opera di mattanza sensoriale globale ormai loro profilo. Come dire: necessario. Come dire: imperdibile. Come dire: senza parole. // Carlo Pastore